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CAPUA: L’INAGIBILITA’ DEL PONTE NUOVO E’ UNA EMERGENZA DI RILEVANZA NAZIONALE, OLTRE CHE LOCALE. E COME TALE VA TRATTATA AI FINI DELLA SUA URGENTE RISOLUZIONE

A Capua tutto sembra filare liscio, anche se un ponte essenziale per la circolazione stradale attraversante il corso del fiume Volturno è chiuso al traffico da alcuni anni; i pedoni non sembrano dolersene più di tanto, in quanto hanno a disposizione il ponte vecchio che, interdetto alla circolazione dei mezzi pesanti, è tuttora fruibile per il traffico leggero e per quello pedonale. Chi ci rimette in tutta questa situazione di prolungato stallo è il commercio capuano, in quanto una marea di mezzi pesanti è stata dirottata sul ponte Annibale, per cui i relativi conducenti, bypassando Capua, faranno altrove i loro quotidiani acquisti in itinere di sigarette, caffè o colazioni. Prima potevano fare una breve sosta a Porta Roma per rifocillarsi e riprendersi dalle fatiche dei lunghi viaggi. Adesso quell’occasione di fugace svago viene fatta altrove. Mancando l’occasione del transito dei mezzi pesanti, manca per i commercianti del popoloso rione di Porta Roma la concreta possibilità di intercettare quel formidabile flusso di mezzi pesanti e, quindi, quella numerosa potenziale clientela. Il traffico stradale potrebbe sembrare pure fastidioso, ma se si vuole mantenere vivo il commercio bisogna alimentarlo, anziché deprimerlo dirottandolo altrove, come sta accadendo adesso, per un perdurante ingiustificato ritardo nell’esecuzione degli abbisognevoli lavori di ristrutturazione. Il maggiore pregiudizio lo hanno accusato gli operatori commerciali più a ridosso del tratto terminale della strada (provenienza da Roma) adducente al ponte nuovo, ove ormai non vi può transitare alcun veicolo, essendosi l’arteria ridotta ad un cul de sac che non porta da nessuna parte. Per loro, se i lavori non inizieranno nel breve periodo, non gli resterà che traslocare altrove e richiedere magari un ristoro economico per i danni subiti dalla prolungata intransitabilità della strada su cui oggi prospettano, pressoché improduttivamente, le proprie attività. Il registrato ritardo non è ormai più tollerabile, perché la sua protrazione non fa altro che prolungare sine die una situazione di pregiudizio per una buona parte del commercio capuano, compreso quello che si svolge sull’altro versante del ponte. Naturalmente questo è soltanto un aspetto importante, ma non è il solo, perché si avverte ormai anche lo sconcerto dei trasportatori che debbono abbandonare la via Appia per fare un itinerario alternativo molto più lungo, che si traduce in un maggiore tempo di percorrenza e, conseguentemente, pure più oneroso. E che dire degli studenti che frequentano le Scuole Superiori di Capua che per arrivarci dai paesi che si trovano sul lato nord della nostra cittadina. si debbono sobbarcare anch’essi il fastidio di un viaggio molto più lungo. Di tutto questo, forse, le pubbliche autorità, anche a livello regionale e nazionale, non hanno ancora preso piena coscienza, se al di là di fumose promesse, non passano all’azione. Tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare, anche se per la fattispecie di cui si parla c’è di mezzo il nostro glorioso fiume Volturno. Dobbiamo dare concretezza alle parole; altrimenti si gioca a rimpiattino. Mi sono sempre domandato di chi sia la responsabilità di questo abnorme ritardo nell’avvio dei lavori in questione: personalmente penso che “nessuno” abbia colpa di quanto accade. Assolvo tutti, perché penso che il responsabile di ciascun ente cointeressato ai lavori abbia fatto quanto di propria competenza. Potrebbe sembrare strana questa mia affermazione, ma non lo è, se la si esemplifica e la si chiarisce. Per farlo ricorro ad un noto proverbio: ”Quando ci sono troppi galli a cantare non si fa mai notte”. Il problema è proprio questo, dove per galli si debbono intendere gli enti che, in qualche modo, sono cointeressati alla vicenda del ripristino del manufatto stradale. L’Italia si è data una normativa complessa ed articolata in tema di esecuzione della spesa pubblica, allo scopo anche di decentrarla; nello stesso tempo sono state varate norme per il controllo della spesa stessa. E’ richiesto il parere di altri organi dello Stato che, magari, eseguono studi di fattibilità. Se l’Ente proprietario della struttura non ha i fondi sufficienti per eseguirli, li deve richiedere allo Stato o alla Regione. Insomma se oggi volessimo conoscere di chi è la responsabilità del mancato avvio dei lavori, sapremmo che tutti gli enti che, in qualche modo, sono cointeressati alla loro esecuzione hanno provveduto a fare i passi di propria competenza e che ciascuno di essi aspetta l’esito di una richiesta fatta ad un altro ente. E’ tutto un rimpallo di responsabilità; mentre la burocrazia furoreggia, la città muore e gli autotrasportatori ed i conducenti dei mezzi pubblici ne fanno le maggiori spese. Tutto questo mi ricorda una vicenda diversa ma simile per quanto riguarda i suoi irrazionali meccanismi di funzionamento: circa trenta anni fa dai rubinetti domestici delle abitazioni napoletane fuoriusciva dell’acqua apparentemente non potabile. Poiché la competenza a decidere, diversamente ripartita, apparteneva, come tuttora, allo Stato, alla Regione, alla Provincia, al Comune, all’Asl (o diverso ufficio sanitario di quel tempo) ed all’acquedotto cittadino, nessuno dei richiamati enti si guardava dal prendere delle impopolari iniziative, quale la temporanea sospensione dell’erogazione dell’acqua in attesa dei necessari accertamenti. Quando la competenza è ripartita fra più enti avviene che se trattasi di qualcosa di positivo tutti fanno a gara a rivendicarne la paternità; quando, invece, si tratta di adottare decisioni che implicano delle correlate responsabilità e, soprattutto, se di valenza impopolare, tutti si guardano dal fare la prima mossa. Orbene, sapete come finì quella situazione d’impasse? I giornali del tempo riportarono che il sindaco protempore -poiché il comune di Napoli era l’ente che, nella vicenda, aveva la maggiore fetta di competenza- con ordinanza dispose che la popolazione si astenesse dal bere l’acqua se non si fosse presentata limpida, inodore, insapore e incolore: insomma, a distanza di qualche mese dalle doglianze della popolazione, anziché disporsi un’analisi chimica, fu demandato ai cittadini di fare una valutazione estemporanea della potabilità dell’acqua. Ecco cosa succede quando in una certa materia non vi è competenza esclusiva. Torniamo al ponte nuovo per augurarci che la prossima compagine politica che governerà la città di Capua, all’esito della prossima tornata elettorale, ponga la massima cura nella risoluzione della piena transitabilità di questo importante manufatto cittadino, in quanto la viabilità, in genere provinciale, su cui vengono deviati attualmente i mezzi pesanti, non è in grado di veicolarla in sicurezza per lungo tempo, in relazione all’eccessiva usura a cui viene sottoposta, né tantomeno sarebbe assolutamente in grado di sopportare il volume di traffico proveniente dall’autostrada A/1-MI/NA, nel caso di sua temporanea chiusura per incidente stradale, lavori di manutenzione o altra causa: in questo caso il traffico pesante autostradale verrebbe dirottato completamente sulla Strada Statale Appia –il cui andamento è parallelo all’asse autostradale- soltanto per un breve tratto, per essere poi deviato per il ponte Annibale, percorrendo strade provinciali abbastanza anguste. La riapertura del Ponte Nuovo di Capua travalica, dunque, le esigenze puramente locali: si tratta di una problematica di rilevanza nazionale e come tale va rappresentata, col coinvolgimento dei massimi organi istituzionali e pure con la sua doverosa esposizione mediatica, poiché quest’ultima, talvolta, appare più risolutiva di mille iniziative, ove gli interlocutori pubblici aditi dovessero apparire, anche per il futuro, insensibili alle pubbliche esigenze di circolazione stradale.

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