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UNA SFORTUNATA RAGAZZA DI CAPUA E’ LA PROTAGONISTA DI UNA DELLE PIU’ BELLE E TRISTI NOVELLE DEL POETA SALVATORE DI GIACOMO (E PER SCRIVERLA VENNE CERTAMENTE A CAPUA)

Talvolta la lettura di una novella può indurci a qualche riflessione sulla città di Capua, soprattutto per come la vedevano gli uomini di cultura all’inizio del decorso secolo. La novella a cui alludiamo è quella recante il titolo de “L’ignoto” di del grande poeta Salvatore Di Giacomo, tratta dal libro “Tutte le novelle”. Premesso che si tratta di una delle più belle novelle del noto poeta, che ogni capuano dovrebbe leggere per conoscere non solo la storia di questa giovanissima capuana sedotta ed abbandonata da un giovane militare che prestava servizio in una delle tante caserme che all’inizio del ventesimo secolo affollavano la città di Capua, quanto anche per sapere cosa vide l’autore della novella allorché, per necessità di studio o di diletto, visitò la città, e sicuramente vi si sarà trattenuto per diversi giorni attesa la precisione della descrizione dei luoghi visitati. Per stuzzicare la curiosità dei lettori accenniamo soltanto alla trama della novella; in tal modo, forse a qualcuno di essi verrà voglia di leggerla per intero: ebbene, la ragazza, disperata per essere stata sedotta ed abbandonata dal “furiere” (addetto ad un ufficio) di una caserma di militari di Capua, con cui aveva avuto una relazione amorosa, aveva deciso di suicidarsi, lanciandosi nel fiume Volturno, dal ponte Romano. Ebbe, però, un ripensamento, e si incamminò per il Corso Appio, alla fine del quale entrò in un edificio, in cui abitava un anziano signore al quale si rivolse per chiedere consigli sul come poteva risolvere il suo problema, perché, per la vergogna, non poteva più rientrare a casa. L’ignobile individuo la indirizzò a Napoli a fare “la vita”, assieme ad un’altra giovane donna che già trovavasi nella sua casa. Struggente è il racconto della partenza dalla stazione di Capua alla volta di Napoli. Il caso volle che sullo stesso treno, in serata, si imbarcò anche “il ventottesimo d’artiglieria”, proprio il reggimento del furiere da cui erano derivati i guai di Letizia, perché questo era il nome della giovane capuana. E nella metropoli napoletana il destino separò definitivamente le due donne, che si erano promesse solennemente di aiutarsi vicendevolmente, ed entrambe si ritrovarono sole all’incontro di un tragico destino. Riportata in estrema sintesi la vicenda oggetto della novella, soffermiamoci adesso su qualche particolare che ci ha indotto a ritenere che il Di Giacomo sia stato effettivamente a Capua per più giorni. Infatti, il poeta, quando colloca Letizia in prossimità del parapetto del Ponte Romano, per compiere l’insano gesto, allude al passaggio di un treno che, con un fischio, annunziava il suo imminente passaggio sul cosiddetto “ponte di ferro” (ancora oggi le persone più anziane ricordano quel manufatto con questo nome). Ecco la descrizione fattane: “A un tratto una fuggente nuvola s’agitò e si scompose alle origini del ponte di ferro, mascherate da un breve caseggiato e dagli erici della sponda. Apparve un treno, fischiante, nero, sterminato: il treno di Roma”. Se il lettore si posiziona sulla parte centrale del Ponte Romano nota, ponendo molta attenzione, il cosiddetto ponte di Ferro sul quale tuttora corre la linea ferrata Napoli/Roma, Via Cassino. Oggi, come a quel tempo, bisogna aguzzare la vista per individuare il Ponte di Ferro, sicuramente non più quello a cui alludeva il poeta, la cui visuale è tuttora difficoltizzata dai pioppi e dai salici che crescono lungo le sponde del fiume. Altro particolare citato dall’autore è l’esatta collocazione della statua di San Giovanni Nepomuceno, che a quel tempo, prima che venisse distrutta da un bombardamento aereo del secondo conflitto mondiale, si trovava in corrispondenza di uno dei due parapetti del Ponte Romano ( “….. si stagliava sul livido cielo la statua di San Nepomuceno: un rigido braccio era steso al fiume e la mano spiegata ne benediceva il queto cammino lungo le umide rive, a occidente”). Il poeta Salvatore Di Giacomo appare ben orientato nella città di Capua, soprattutto quando, nella novella, fa riferimento alla Riviera Casilina, alla chiesa della Santella ed all’Arcivescovado. Il Corso Appio veniva descritto luminoso e rumoroso, affollato di attività commerciali e di vita serale. Ecco la descrizione dell’arrivo di Letizia a Piazza dei Giudici: “Procedeva , senza fermarsi, con la testa bassa. In Piazza dei Giudici, ove metteva il primo tratto del Corso, da un globo enorme si diffondeva la luce elettrica e il vaporoso pulviscolo d’una pioggerella fitta e fredda roteava, penetrato da quel lume, per breve spazio attorno. Alle prime avvisaglie della pioggia i capuani avevano abbandonato la piazza: vi indugiavano ancora un gruppetto di soldati d’artiglieria , due carabinieri ammantellati, gravi, lenti, solenni”. Sembra di rivedere la Capua di oggi, con le stesse abitudini dei capuani, ma senza i soldati di artiglieria che, a quel tempo, affollavano la città e che si intrattenevano nella sua piazza salotto, ed il presidio dei carabinieri a Piazza dei Giudici, evidentemente in servizio serale di perlustrazione per le vie cittadine. Ancora un ulteriore passaggio della novella ci fa capire che il Di Giacomo si trattenne a Capua per coglierne anche i dettagli meno significativi, ma importanti per noi per comprenderne la vita di un secolo addietro, quali lo sciamare frettoloso degli operai del Pirotecnico, alla fine del turno di lavoro: “Come Letizia passò davanti all’Arco Mazzocchi una folla d’operaie del laboratorio Pirotecnico ne uscì con altre voci confuse, imprecanti alla pioggia, e si rincorse lungo la murata del Municipio, e trascorse verso Porta Napoli”. L’ultimo passaggio è quanto mai corrispondente alla realtà di quanto accadeva un secolo fa, alla fine del turno di lavoro degli operai del Pirotecnico, poiché effettivamente la strada più breve dal Pirotecnico a Piazza dei Giudici è quella riportata, ovvero quella che sbuca sotto l’Arco Mazzocchi, dopo aver percorso via Giovanni Alviani e poi via Alessio Mazzocchi. Interessante la puntualizzazione che trattavasi di operaie: era noto, difatti, che in quell’opificio, nel quale erano occupate cospicue maestranze, era abbastanza numerosa la manodopera femminile. La lettura della novella “L’ignoto” ci ha fornito lo spunto per soffermarci sulla vita della città di Capua, di inizio novecento, che, come tutte le sedi di caserme di militari, ha visto nascere storie di amore sincere e durature, ma anche storie di passioni e di inganni, sfociate poi in tragedie giovanili.

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