CULTURA

Heddi Goodrich per “terra di madri scrittrici a Capua

Nonostante il maltempo avesse flagellato la città e Comuni limitrofi per tutta la giornata, il primo appuntamento del ciclo “Terra di madri, scrittrici a Capua”, previsto nella chiesa di San Salvatore, mercoledì 3 novembre le ore 19:00, si è svolto regolarmente al cospetto di un folto numero di persone che, appunto, noncuranti della pioggia, si è riunito per ascoltare la “chiacchierata” tra la scrittrice americana Heddi Goodrich e la critica letteraria Nicoletta Alaia.

L’evento apre il ciclo “Terra di Madri, scrittrici a Capua, una seriedi incontri di letteratura dedicato alle donne che scrivono, al loro talento, ma anche alle lettrici e ai lettori, nato nella Città delle Madri, le famose Matres Matutae custodite nel Museo Provinciale Campano.

Questo è un progetto “Architempo”, nato nell’ambito di Capua il Luogo della Lingua festival, sotto l’egida del Patto per la Lettura di Capua “Città che legge”.

 Le  curatrici del progetto sono: la scrittrice Marilena Lucente, la critica letteraria Nicoletta Alaia, le scrittrici e giornaliste Nadia Verdile e Lidia Luberto, la scrittrice e poetessa Mariastella Eisenberg, la sceneggiatrice e regista Barbara Rossi Prudente, le attrici Margherita Di Rauso e Elena Starace, quest’ultima anche scrittrice, e la giornalista Mariamichela Formisano.

 La scrittrice Heddi Goodrich originaria di Washington D.C che vive in Nuova Zelanda, ad Auckland,  scrive in italiano, del suo amore per Napoli, dove si è laureata negli anni 90.

 Ieri  ha dialogato con Nicoletta Alaia del suo nuovo libro L’americana (Giunti), che arriva in libreria a due anni di distanza dal successo del suo romanzo d’esordio Perduti nei Quartieri Spagnoli, grande successo internazionale,  tradotto in tredici lingue.

Questo secondo romanzo della scrittrice americana Heddi Goodrich racconta l’educazione sentimentale di Frida, una sedicenne che alla fine degli anni Ottanta arriva a Castellammare di Stabia dall’Illinois per uno scambio culturale: un anno che le cambierà la vita.

 Un romanzo che vuole raccontare di donne e femminilità, come afferma Heddi Goodrich, senza dimenticare però l’universo maschile, in una sorta di contesto dicotomico in cui lo yin e lo yang si scontrano e s’incontrano generando vortici armoniosi.

Durante la “chiacchierata”,  Nicoletta Alaia ha evidenziato non solo i riferimenti a concetti filosofici di cui è ricco il romanzo ma anche  la cura del linguaggio che è molto chiaro ed incisivo così come  le  meravigliose descrizioni paesaggistiche dei luoghi in cui la Goodrich ha trascorso parte della sua vita.

 Le protagoniste delle pagine di Goodrich sono le donne, a cominciare dalle due mamme. Una, quella biologica, che la chiama Frida come la Kahlo sperando di tramandarle «la forza d’animo per superare qualsiasi dolore la vita abbia in serbo», l’altra, Anita, la mamma campana, che si prende tutta la scena e già dal suo ingresso impregna le pagine di «Fendi e gomma alla menta». Anita, che tutti da sempre in famiglia chiamano «l’americana». Anita, seducente quarantenne, che a Castellammare saluta tutti mentre guida «come un tassista newyorkese» su e giù per la montagna; Anita, diventata madre a sedici anni che l’indipendenza se l’è guadagnata; Anita che lavora al sindacato e che anche senza studi solidi alle spalle ha le idee ben chiare: «In questo mondo devi scegliere da che parte stare: con i socialisti o con i fascisti. Con i lavoratori o con gli sfruttatori. Con i buoni o con i cattivi». Da subito, Mamma Anita s’impone come un personaggio grandioso: estroversa, carnale, priva di schemi, un ciclone di donna che afferra Frida con impeto eppure, a suo modo, con delicatezza, portando una ragazza che è poco più di una bambina nel mondo delle donne adulte, dei sentimenti, delle passioni, dei tormenti interiori, una formazione anche dura, in cui gli schiaffi si alternano alle carezze. Così Frida cresce, attraverso l’educazione di Anita e la storia d’amore con Raffaele, un ragazzo lontano dal suo mondo e vicino a quello della camorra, e che però, più di tutti, porta impresso il marchio di una ferita, di una bruciante dolcezza.

 

 

 

 

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