CULTURA

CAPUA. IL GALANTUOMO VANVITELLI, LA CIOCCOLATA OFFERTA ALLE MONACHE DEL CONVENTO DI S. GABRIELE

EVASIONE CULTURALE A CHILOMETRO ZERO E AD EURO UNO. Viviamo nella storia, nell’arte e nella bellezza: tutto è a portata di mano. Bisogna soltanto riscoprirlo perché tutto è già intorno a noi e fruibile a costo pressoché zero; il costo di un caffè.

Comprai anni fa, su di una bancarella, per pochi euro tre libri contenenti “Le lettere di luigi Vanvitelli della biblioteca Palatina di Caserta” di Franco Strazzullo. Fu uno degli acquisti più interessanti che abbia mai fatto, perché in essi è raccolto tutto il carteggio vanvitelliano, attualmente conservato presso la stessa Biblioteca Palatina di Caserta. Trattasi delle lettere che in circa 18 anni, il Vanvitelli ha scritto, quasi esclusivamente, al fratello D. Urbano, canonico a Roma. Il Vanvitelli scriveva al familiare con una singolare frequenza; circa due oppure tre lettere per settimana. In ogni lettera viene fatto il resoconto della sua attività giornaliera, della progressione dei lavori della Reggia e dell’acquedotto carolino. Contengono anche precisi riferimenti alla vita di corte, della nobiltà e del popolo minuto. Molto spesso ci sono anche annotazioni sull’andamento stagionale e sulle coltivazioni campane. Questi tre volumi, per le notizie in essi contenute, dovrebbero essere presenti nelle biblioteche di tutti gli architetti e degli ingegneri, perché dalla consultazione di essi potrebbero attingere utili notizie sugli escamotage tecnici utilizzati dall’eminente architetto nella conduzione dei lavori, principalmente per la realizzazione dell’imponente scalone, divenuto oggetto di tanti set cinematografici, per l’allestimento del parco e dei relativi giochi di acqua e per la costruzione dell’acquedotto carolino, compresi i relativi trafori e le opere di livellamento delle acque per farle giungere alla cascata della Reggia, con la pendenza desiderata. E’ di utile la consultazione anche per gli storici, per la comprensione delle dinamiche di corte e delle vicende che agitavano l’intera Europa, nella seconda metà del diciottesimo secolo. E’ di interesse finanche per i sociologi per la comprensione delle abitudini e dei costumi del tempo del Vanvitelli. E’ di giovamento persino per i climatologi, in quanto il Vanvitelli aveva cura di annotare puntigliosamente pure gli eventi meteorologici più caratterizzanti, esprimendo, al riguardo, delle pertinenti osservazioni. E’ di stimolo pure per gli ambientalisti per le numerose annotazioni sulla fauna e la flora campana. Dalla lettura delle lettere si deduce la sua profonda fede religiosa che lo sostenne nei momenti più luttuosi e nelle avversità della vita. Era, altresì, particolarmente dedito alla famiglia ed al futuro dei figli, di cui due architetti. Dalla consultazione della corrispondenza, apprendiamo anche di una sua passione, che lo fa assomigliare a tanti di noi: Vanvitelli giocava al lotto sulla ruota di Roma, l’unica attiva al suo tempo, con una unica estrazione che si teneva il sabato. Per assecondare questa sua predilezione provvedeva a far recapitare i numeri da giocare al proprio fratello, prete in Roma. Per i nostri lettori, ritenendo di fare cosa utile, nell’augurare loro buona fortuna, riportiamo la cinquina richiesta di giocare nella missiva dell’11 agosto 1767: 7.24.50.64.84.​ Il carteggio ci offre uno spaccato inaspettato della vita privata del Vanvitelli, in quanto, come annotava lo Strazzullo, “negli ultimi anni è assalito dalla malinconia: la partenza di Carlo III (per la Spagna, per assumere quella corona) l’ha rovinato. Durante e dopo la reggenza gli interessi della Corte di Napoli si spostano da Caserta a Portici, la reggia vanvitelliana languisce e viene accantonata pure l’idea di condurre acqua nella capitale (Napoli)”. Il Ministro Tanucci, toscano, dopo la partenza del sovrano alla volta della Spagna, prediligeva apertamente un altro architetto, il Fuga, anch’egli toscano, e gli attribuisce incarichi molto remunerativi. Chiudo questa breve riflessione sul Vanvitelli, con uno stralcio tratto dalla lettera numero 1346, del 13 giugno 1767:”La fabbrica (La Reggia) di Caserta fa piangere, vederla così bella e così disprezzata ….. ancor non si parla niente di acque e niente, niente; sono tutte collusioni maliziose …..”. Vanvitelli affrontò con virile forza le avversità della vita e dalla lettera n.1277, del 9 agosto 1766, ne ricaviamo ampia testimonianza: “Conviene umiliarsi alla altissima determinazione di Dio, ché, quando seriamente rifletto a tutto, riconosco evidentemente che chi comanda il tutto così vuole, né io ho mancato in cosa veruna in fatiche e opere, ma sempre invano; gli amici ho perduti subito, onde non è poco che abbia strappato dal Re Cattolico per i miei figli qualche cosa, ché altrimenti non avrei da vivere. Però ringrazio la Santa Provvidenza ed umilio ogni mia volontà”. Anche in questa lettera, il Vanvitelli annotava una giocata da fare al lotto: il terno 54.58.84. Non avremmo mai immaginato che un gigante dell’architettura possa essere stato così tanto mortificato durante il periodo della reggenza, sistema di governo provvisorio dovuto alla giovanissima età del nuovo sovrano (Ferdinando, figlio terzogenito di Carlo III). Ridotti i fondi a disposizione, per iniziativa del potente ministro Tanucci, il Vanvitelli non riuscì a portare a completa esecuzione il suo progetto, in ordine alla reggia. Il detto ministro, approfittando della circostanza che il Vanvitelli non poteva più avvalersi della protezione del vecchio sovrano, gli voleva togliere finanche la casa di Caserta per darla al suo cognato, il conte Catanti. Vanvitelli, per scansare il pericolo di perdere la casa, interpose i buoni uffici del principe di S. Nicandro e del Cav. Neroni, soprintendente di Caserta. Ne dà conto nella lettera n.682, del 6 novembre 1759, di cui si riporta un breve passaggio: “Carissimo fratello, ieri sera venne tutta la famiglia da Caserta in buona salute; non mi trovarono in casa, perché dovevo parlare al Principe di S. Nicandro acciò il signor marchese Tanucci, a cui gli è venuto voglia di volere e dare la mia abitazione al suo cognato Conte Catanti, non me la tolga, se sarà possibile. Tutte le ragioni di soppiatto, che fare puoteasi dal medesimo per farmi ritrovare senza abitazione, è stato fatto. Il cavaliere Neroni si è impuntato col dirgli: <Vostra Eccellenza mi dia il dispaccio, perché D. Luigi Vanvitelli ha la casa assegnatagli dal Re e se l’è fabbricata con il denaro dato dal re a quest’effetto>”. Da sempre, ho sentito tante illazioni sul come il complesso vanvitelliano doveva essere portato a temine. Nel carteggio, sono indicati i due ambiziosi progetti rimasti ineseguiti e che io non indico di proposito, per stuzzicare la curiosità dei lettori, significando che mi riservo di farlo per tutti, ove qualcuno dovesse farmene richiesta. Nonostante i tanti impegni professionali e gli affanni quotidiani, il Vanvitelli trovò sempre il tempo di soddisfare le richieste che gli provenivano da ogni parte per un consiglio oppure una valutazione di natura tecnica, anche in ordine ad opere poste in essere da altri architetti. E’ proprio il caso della richiesta rivoltagli dalla priora del R. Ritiro di S. Gabriele di Capua, a nome delle monache di quel convento. La badessa era in buonissimi rapporti di amicizia con la Regina Maria Amalia e ciò le aveva sicuramente agevolato il soddisfacimento dell’istanza. Le monache capuane si lamentavano della cattiva progettazione del loro monastero che, a loro avviso, stava per essere edificato “con tutto il maggiore disordine”. Il Vanvitelli riscontrò la richiesta formulatagli, invitandole a Caserta, per sentire le loro ragioni. Ce ne fornisce un resoconto nella lettera n. 676, del 20 ottobre 1759: “ Già martedì vi furon le monache di Capoa (Capua) del Ritiro; girarono tutt’il palazzo Vecchio, poi vennero al Palazzo Novo, ove il​ Cavaliere gli diede la cioccolata nelle camere di mastro Antonio; La cioccolata finì e non l’avevano avuta tutte, sicché presto presto mandai a casa per reclutare quella poca che avevo e bastò, ma non ne ho avuto piacere”. Dai pochi righi riportati emerge che a Caserta dovette recarsi una ben nutrita delegazione di monache capuane, se la cioccolata disponibile per gli ospiti si esaurì in breve tempo. E Vanvitelli, che era un uomo di cuore ed accomodante, tolse d’impaccio il padrone di casa offrendo la cioccolata reperita presso la propria abitazione. L’architetto non era uomo da perdere tempo, tant’è che il successivo giovedì venne a Capua per fare un sopralluogo del quale lasciò traccia, nella medesima lettera n.676: “Giovedì poi andiedi io a Capoa (Capua) per vedere quel Monastero, il quale si edifica con tutto il maggior disordine, ed a tanto sconcerto non sarà giammai possibile di rimediare, di cui ne sono stato pregato dalla Monaca fondatrice e dal Frate Fondatore. Converrà che vi mandi a prendere la pianta per vedere tutto quello che si puotrà fare, con la minore spesa. Egli è vero però che sono così male avvezzi, o per dire meglio così ben avvezzi a vedere cose pessime che ogni cosa va bene assai”. La targa sulla Chiesa di Santa Placida, già Chiesa di S. Gabriele, reca la dicitura “Il campanile è di fattura vanvitelliana”: sarebbe stato più giusto ricordare la presenza in loco del Vanvitelli ed il suo fattivo contributo. La lettera citata costituisce la prova provata della sua venuta a Capua e del suo intervento migliorativo, in corso d’opera, relativamente al quale non mancò di ironizzare sull’impossibilità di emendare del tutto e, quindi, risolutivamente, cose mal nate o concepite. E soggiunse che (riferito evidentemente a noi capuani, ma sottintendendolo) che quando si è abituati a vedere cose spregevoli, ogni cosa, seppure modesta, può apparire di pregio. Ho voluto citare questo simpatico episodio per significare che i nostri antenati ci hanno lasciato delle opere pregevoli, ricorrendo, ove necessario, anche al contributo degli uomini più illustri del loro tempo. Lo facevano per dare lustro al loro monastero che poi è pervenuto alle generazioni successive in tutta la sua bellezza, anche se, però, da tempo l’ex convento di S. Gabriello e l’attigua Chiesa di San Gabriele sono inaccessibili al pubblico. La targa apposta all’ingresso della Chiesa di San Gabriele riporta la seguente indicazione: “La Chiesa del monastero di S. Gabriello, assume il titolo di S. Placida per la presenza delle reliquie della Santa. Di recente restaurata, ha quattro false cappelle nell’aula unica, con una sobria ornamentazione in stucco. Il campanile è di fattura vanvitelliana”. Pochi capuani avranno avuta la possibilità, nel recente periodo, di fare una visita alla chiesa in questione: peccato, perché in essa sono (o erano) conservate le reliquie di Santa Placida. Ho scritto sono o erano conservate le reliquie, in quanto, una decina di anni fa, nell’accedere nella predetta chiesa, ho avuto modo di vedere il sarcofago, finemente ritagliato, contenente le sante reliquie di Santa Placida. Poiché è chiusa da tempo non sono più certo della presenza di quell’importante testimonianza della nostra vita cristiana. La chiesa, al tempo in cui l’ho visitata, mi apparve in buona condizione per cui meriterebbe di essere aperta al pubblico, sia per la presenza del sarcofago contenente le reliquie della Santa, sempreché sia ancora colà presente, che per il contributo architettonico fornito dal Vanvitelli nella fase della sua ristrutturazione. Naturalmente, unitamente alla chiesa, dovrebbe essere fruibile anche l’accesso al contiguo ex convento di S. Gabriello, pregevole palazzo monumentale, in cui, in passato, ebbe sede la pretura, prima, e il Comando dei Vigili Urbani di Capua, poi.

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