AMBIENTE, CULTURA

RUBRICA: EVASIONE CULTURALE A CHILOMETRO ZERO E AD EURO UNO.

Viviamo nella storia, nell’arte e nella bellezza: tutto è a portata di mano. Bisogna soltanto riscoprirlo perché tutto è già intorno a noi e fruibile a costo pressoché zero; il costo di un caffè.

PERCHE’ I BASTIONI ED I FOSSATI DI CAPUA DOVREBBERO ESSERE SEMPRE IN ORDINE? Parte II

Caro lettore conclusi l’articolo del decorso 21 giugno accennando alla circostanza che la battaglia del Volturno -nel corso della quale sotto i bastioni di Capua ebbero luogo sanguinosi scontri tra il residuo Esercito Borbonico e l’Esercito Meridionale, per intenderci i garibaldini, rinforzato, nell’ultimo periodo, dall’Esercito Sardo, nel frattempo sopraggiunto dal nord, dopo aver invaso lo Stato pontificio- ebbe delle inaspettate conseguenze sul piano della toponomastica cittadina della Capua antica (l’attuale Santa Maria C.V.) e della Capua nuova (l’attuale Capua).

In breve, espongo una mia perplessità che mi ha portato a fare delle accurate ricerche per capire perché in Santa Maria C. V. i personaggi risorgimentali sono stati accuratamente celebrati, mentre a Capua non è stato fatto altrettanto. Sono due cittadine contigue: eppure una si scapicollava, fin da subito, a celebrare quei personaggi, mentre l’altra nicchiava (e tuttora nicchia) evitando di seguire l’esempio del contiguo comune.

La diversa condotta tenuta dai due comuni in circa 160 anni dall’epilogo della spedizione garibaldina doveva avere certamente una spiegazione logica, ormai non più percepibile, in relazione il tempo passato. A mio avviso essa va ricondotta alla diversa esperienza psicologica sofferta dalle due popolazioni. Quella di Santa Maria C. V. assisteva, da spettatrice, ai bombardamenti in direzione di Capua, senza correre particolari pericoli, mentre quella di Capua, cinta d’assedio, subiva l’effetto dei cannoneggiamenti, tra l’altro eseguiti pure con moderne artiglierie con anima rigata, in grado di effettuare un tiro più preciso e, nel contempo, efficace.

Sia il Buttà, nel suo saggio “Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta”, che lo stesso Garibaldi, nel suo libro di “Memorie autobiografiche”, ebbero ad evidenziare la violenza e la disumanità di quella guerra fratricida.

Per capire lo stato psicologico della popolazione capuana ho avuto necessità di consultare giocoforza innumerevoli fonti scritte, soprattutto di natura giornalistica.

 La cittadina di Capua dispone di una munitissima emeroteca allogata presso il Museo Provinciale Campano.

Le   ricerche eseguite presso il Museo Campano mi hanno consentito di conoscere l’umore della locale popolazione circa l’avventura garibaldina e segnatamente in ordine al patito assedio, in occasione della battaglia del Volturno.

Ho consultato circa quaranta anni di pubblicazioni. Trattavasi di giornali con diversa periodicità, tutti a livello provinciale e, quindi, più rispondenti rispetto alla ricerca che stavo eseguendo.

Fin dall’inizio della mia ricerca mi sono avveduto dell’elevato numero di giornali stampati localmente. Evidentemente si leggeva molto di più rispetto ai tempi correnti: oggi, infatti, in ambito provinciale, non si stampano più di due o tre testate giornalistiche.

Con somma meraviglia mi avvedevo che della battaglia del Volturno ho trovato dei puntuali resoconti soltanto nella rassegna stampa del sovrano borbonico –Francesco II- che, ritiratosi da Capua, aveva organizzato l’ultima difesa a Gaeta.

La stampa locale, ovvero quella della provincia di Caserta, sia coeva al 1860 che dei decenni successivi, non fornisce alcun elemento utile per poter ricostruire fedelmente la battaglia del Volturno: vengono celebrate sic et simpliciter le gesta dell’eroe dei due mondi senza null’altro approfondire.

Dal territorio di Capua non vengono registrati commenti entusiastici verso Garibaldi; il personaggio sembra essere ignorato.

Colpisce, invece, l’entusiasmo col quale gli amministratori di Santa Maria C.V. – ove era dislocato il maggiore nucleo dell’esercito garibaldino e dalla cui linea di fuoco partivano le maggiori bordate all’indirizzo di Capua (esistono stampe riproducenti l’immagine di cannoni puntati verso Capua, dislocati sotto l’arco di Adriano di Santa Maria C. V.)- hanno, nel tempo, magnificato la figura di Garibaldi e quella di Vittorio Emanuele II. Ogni anno, in occasione della ricorrenza della battaglia del Volturno, presso il comune di Santa Maria C.V. venivano, infatti, tenuti solenni festeggiamenti, con accompagno di ampollosi discori commemorativi, farciti di attestazioni di riconoscimento di iperboliche qualità eroiche e patriottiche.

La venerazione del comune sammaritano verso i personaggi risorgimentali (A Garibaldi, tra l’altro, in quella cittadina, fu offerta la possibilità di alloggiare in un maestoso e noto palazzo nobiliare, oggi in attesa di restauro – Un marmo apposto sul palazzo Teti ci ricorda che in quell’immobile ha dormito l’eroico condottiero) fa da contraltare all’indifferenza capuana; un’esatta immagine speculare, ma rovesciata.

Non a caso, in Santa Maria Capua Vetere, oltre, al monumento ai caduti Garibaldini ed al corso Garibaldi, è intitolato all’eroe dei due mondi anche il teatro comunale (Teatro Garibaldi). Nello stesso comune esiste pure la Piazza intitolata a Giuseppe Mazzini ed è attivo anche il Museo dei cimeli garibaldini. Infine, da poco tempo, è stato finanche aperto il Bed and breakfast Garibaldi, il Gran Caffè Garibaldi e la Tabaccheria Mazzini.

Un’overdose di iniziative, anche recentissime, che inaugurate all’indomani del 1860, continuano tuttora a rinnovarne la memoria e le gesta.

Soltanto in data 4 giugno 1882, il giornale “La Provincia di Terra di Lavoro”, in seguito alla morte di Giuseppe Garibaldi, avvenuta a Caprera il giorno 2 giugno 1882, ha riportato delle iniziative intraprese dal comune di Capua. In particolare, il giornalista del tempo, un certo Calvi, scriveva testualmente “Capua, la patria di Ettore Fieramosca, Pier della Vigna, di Lodovico Abenevole e di tanti altri grandi dei tempi andati –Capua che nella storia delle guerre combattute per la liberazione del mezzogiorno d’Italia occupa una lunga pagina, non poteva non commuoversi profondamente all’infausto annunzio dell’inaspettata morte di Giuseppe Garibaldi. Le pubbliche manifestazioni di lutto nazionale dovevano perciò riuscire imponenti quali lo furono infatti. La dolorosa notizia dell’irreparabile perdita pervenne al sindaco con telegramma del prefetto di Caserta verso le ore 03.12 pomeridiane e fu annunziata al pubblico poco dopo con un breve manifesto così concepito: -Cittadini, Giuseppe Garibaldi è morto! Ecco la triste nuova che sono costretto a darvi. Nessuna parola può valere ad esprimere tanto lutto nazionale. Nessuna parola può confortare l’animo della Cittadinanza Capuana sempre memore riconoscente all’eroe del Volturno. Tutti i negozi vennero socchiusi, sospesi i pubblici spettacoli, le scuole, ecc. e sulle porte di tutte le botteghe leggevasi Lutto Nazionale.

La sera stessa una folla di cittadini si costituì in comitato per la commemorazione della morte di Garibaldi ed il suo primo atto fu un telegramma di condoglianze alla famiglia del generale. La mattina seguente detto comitato, presieduto dal signor sindaco, si riuniva in una sala del palazzo municipale e nella breve seduta furono prese le seguenti deliberazioni per degnamente onorare la memoria dell’illustre trapassato:

1.(Per proposta del signor sindaco) Inaugurare il nuovo tratto di strada in costruzione tra il corso Appio ed il Castello di Capua, ponendovi il nome di Corso Garibaldi.

2.(Proposta del Cav. Orsini) Stanziare sul bilancio comunale un annuo assegno per l’impianto di un ricovero, da nominarsi Ricovero Garibaldi, per raccogliere quei poveri operai di Capua, che resi inabili al lavoro sì per decrepita età, che per sofferti infortuni, non hanno mezzi di procacciarsi un tozzo di pane.

A questo progetto, che ottenne il plauso unanime dei convenuti, seguì il suggerimento di destinare per la sua opera la somma di L.600 circa, in atto depositata nella Cassa di risparmio postale, residuo disponibile di fondi, che nel 1880 si erano raccolti dai privati per provvedere durante l’inverno alla distribuzione gratuita di oltre 250 minestre al giorno.

Per l’attuazione di sì umanitaria idea venne nominata apposita commissione la cui presidenza fu data al prefato sig. Cav. Orsini.

3. (Proposta dell’avv. Pizzi) Aprire una sottoscrizione nella Provincia di Terra di Lavoro da estendersi anche nelle altre consorelle meridionali per la erezione di un monumento ad eterna memoria dell’Eroe del Volturno.

Siffatto concetto fu unanimemente accolto ed a renderlo di più sicura attuazione il signor Sindaco, quale membro di una Commissione istituita dal Consiglio provinciale di Caserta per l’impianto di un ossario nel villaggio di Sant’Angelo in Formis ove raccogliere tutti gli avanzi dei caduti nelle battaglie combattute da garibaldini della Valle Campana durante il 1860, propose deferire alla prefata commissione l’incarico di connestare alla proposta pel detto ossario quel del monumento provinciale a Garibaldi da stabilirsi precisamente nel bel mezzo dell’ossario stesso.

Segnaliamo il tutto al pubblico sicuri del plauso generale. Calvi”.

Commentiamo le iniziative che il Comune di Capua si era così ufficialmente impegnato ad adottare.

Innanzitutto, in via preliminare, non si può non evidenziare come il messaggio di cordoglio sia stato consequenziale al telegramma del prefetto di Caserta, diramato a tutti i sindaci proprio perché compartecipassero al lutto ufficiale pubblicamente disposto. Poiché negli anni precedenti in Capua non sono mai apparse attestazioni di riconoscenza verso Giuseppe Garibaldi, possiamo dedurre che le espressioni di afflizione non fossero corrispondenti ai reali sentimenti della cittadinanza, cordoglio manifestato più per dovere verso l’autorità che per sincera compartecipazione.

Che così fosse è dimostrato anche dal fatto che nonostante le solenni dichiarazioni di intento nessuno degli impegni formalmente assunti fu mantenuto, eccetto la costruzione di un ossario nell’allora denominato villaggio di Sant’Angelo in Formis, oggi frazione del Comune di Capua.

Lo stesso giornale, in data 5 giugno 1882, nel riportare le pubbliche manifestazioni celebrative seguite al decesso di Garibaldi, annotava che “Non potevamo aspettarci di meno dalla patriottica città di Santa Maria C.V, la cui cittadinanza si è sempre distinta per coltura di mente e per sentimento di patriottismo. Crediamo utile ricordare sul proposito che le bandiere dell’Esercito Meridionale furono donate alla città di Santa Maria, che in vista dell’abnegazione e patriottismo (Garibaldi) solea chiamare <la mia seconda Brescia> tantoché consegnati i poteri dittatoriali nelle mani del gran Re, e ritiratosi a Caprera, spediva al sindaco la seguente lettera, che, unitamente alle tre bandiere, gelosamente si conserva nel palazzo di città:<Alla cara popolazione di Santa Maria, nel dì primo ottobre  -su di un campo di battaglia- si strinse il legame di affetto tra i valorosi dell’Esercito Meridionale ed il vostro bravo popolo. Io ricorderò per tutta la vita la fraterna accoglienza ricevuta da voi e l’entusiasmo vostro per la causa nazionale nei giorni di pericolo. Vogliate tenermi sempre per vostro Giuseppe Garibaldi>”.

L’articolo parzialmente trascritto costituisce un’ulteriore comprova del particolare legame di affetto e di vicinanza che legava Garibaldi con la città di Santa Maria C.V. . Le bandiere dell’Esercito Meridionale furono donate non a caso alla città di Santa Maria C.V.: oltre ad ospitare in un suo palazzo nobiliare –Palazzo Teti- il dittatore, lo aveva finanche fattivamente collaborato nell’assedio della Città di Capua, alle cui porte si concludeva, dopo sanguinose battaglie fratricide, non senza esiziale pericolo per l’Esercito Napoletano, l’avventura garibaldina.

Non Capua, la città bombardata, ma dunque Santa Maria C.V., la città da cui si bombardava la Regina del Volturno, era divenuta agli occhi di Garibaldi il simbolo del patriottismo e della lotta alla monarchia borbonica.

Che ci fosse astio o indifferenza verso la città di Capua che aveva superbamente resistito all’Esercito Meridionale, è dimostrato pure dal fatto che il successivo Decreto di annessione al regno sabaudo, che si riporta, recava, come luogo di sottoscrizione, la località di Sant’Angelo in Formis: “Per adempiere ad un voto indisputabilmente  caro alla Nazione intiera decreta <che le Due Sicilie, le quali al sangue italiano devono il loro riscatto e che mi elessero liberamente a dittatore, fanno parte integrante dell’Italia Una e Indivisibile con suo Re Costituzionale Vittorio Emanuele II ed i suoi discendenti. Io deporrò nelle mani del Re, al suo arrivo, la dittatura conferitami dalla nazione. I Pro-dittatori sono incaricati dell’esecuzione del presente decreto>-S. Angelo 15 ottobre 1860- G. Garibaldi”.

Nel decreto di annessione non si cita mai Capua, ma il suo “villaggio”: ulteriore prova di sentimento di disistima e di dispregio verso la città –e, quindi, anche della sua popolazione- che aveva avuto l’unica colpa di aver ospitato le truppe borboniche durante la battaglia del Volturno.

Il cronista di “La Provincia di Terra di Lavoro”, sempre in data 4 giugno 1882, nel riportare il testo integrale del decreto di annessione del 15 ottobre 1860, così si esprimeva: ”Con la battaglia del Volturno, la vittoria; col decreto del Volturno, sotto la pioggia delle granate della Palombara, proprio in quel giorno fu legalmente costituita l’unità d’Italia”.

Peccato che il cronista si sia dimenticato di spendere qualche parola per i poveri capuani di quel tempo –oltre che per le milizie borboniche, costituite ugualmente da italiani, e segnatamente da soldati napoletani, colà schierati in difesa della loro patria- che avevano fatte le spese di “quella pioggia di granate” copiosamente esplose dalla “Palombara”.

Per i fatti enarrati si può dedurre che la cittadina di Capua aveva più di un motivo per volutamente disattendere agli impegni presi in occasione della morte di Giuseppe Garibaldi. Un timido ripensamento, a sopravvenuto cambio generazionale e a motivi di risentimento ormai sopiti dall’oblio del tempo, è ravvisabile, quindi, soltanto a ben 94 anni di distanza dal 1860, cioè nel 1954, con la sola e tardiva intitolazione di una strada secondaria alla memoria di Garibaldi, ed anche in un quartiere popolare costruito nel secondo dopoguerra, senza troppo riguardo per la levatura del personaggio che si intendeva celebrare.

Gli amministratori della mia città –quelli dei decenni immediatamente successivi al 1860- hanno avuto il coraggio di procastinare sine die degli impegni assunti formalmente in un consiglio comunale tenutosi in seduta straordinaria; obblighi poi fatti cadere definitivamente nel dimenticatoio. Via Garibaldi, se oggi esiste, è da ricondurre alla iniziativa degli amministratori che hanno retto il comune di Capua quasi un secolo dopo i noti eventi guerreschi del 1860: essendo stati educati nel culto del risorgimento e dei suoi personaggi più carismatici hanno quasi ritenuto doveroso l’intitolazione di una strada all’uomo celebrato come l’eroe popolare per antonomasia. 

Mi riservo di acquisire l’ordinanza con la quale il Comune di Capua intitolava la strada a Giuseppe Garibaldi, per avere conoscenza dell’esatta data di intitolazione e delle motivazioni addotte per giustificare il ritardo in questione, tenuto, altresì, conto che, all’indomani del 1860, con direttive ministeriali, erano state date precise istruzioni per celebrare i personaggi risorgimentali, attraverso una metodica intitolazione di strade e piazze alla loro memoria.

Sarà, pertanto, fatto un ulteriore seguito circa il contenuto dell’ordinanza de qua, sempreché disponibile.

Cosa dire, in conclusione, circa la toponomastica della città sammaritana e di quella capuana, a proposito dei personaggi e delle vicende risorgimentali? Possiamo affermare che permane tuttora un imprinting della memoria di quegli avvenimenti, sia pure operante in maniera inconsapevole, che da una parte continua a celebrarli (Santa Maria C.V.) e dall’altra parte persiste nel silenziarli (Capua).

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