22 settembre 2024 ✶ XXV Domenica TO (B)
Non la ricerca del primo posto, ma del bene comune!
Dal Vangelo Tutti i brani del Vangelo di Marco, che stiamo esaminando in queste domeniche, sembrano avere un dato in comune: la difficoltà di Gesù con i suoi discepoli. Non vogliono accettare un messia condannato e perdente; preferiscono un messia glorioso e vincitore. Alcune notazioni:
> “Il figlio dell’uomo sta per essere consegnato” (v.31). Ci chiediamo: da chi? La risposta comune è: da Giuda. Invece siamo di fronte a quello che i teologi chiamano “passivo divino”, cioè un verbo al passivo (essere consegnato) che nella Bibbia è usato per attribuire a Dio una determinata azione. È il Signore che offre suo figlio e non Giuda il traditore.
> “Essi non capivano queste parole” (v.32). “Non c’è peggior sordo di chi non vuol capire”; l’ideologia nazionalista e il loro ideale di successo è tale che impedisce loro di comprendere le parole molto chiare di Gesù. Non è che non capivano, non accettavano quello che Gesù diceva.
> “Di che cosa stavate discorrendo per la via?” (v.33). Lungo la via, i discepoli avevano parlato di questo: chi era tra loro il più grande? Quello delle gerarchie era un tema molto dibattuto tra i rabbini; si disquisiva anche sulle classi dei santi del paradiso; una concezione che perdura anche sino ad oggi, passando attraverso le gerarchie angeliche di Dante. La carriera: croce e delizia di tanti ecclesiastici!
> “Sedutosi” (v.35): Marco ricostruisce con cura la scena. Gesù “si siede” (καθίσας) nella posizione di colui che insegna. “Chiamò i Dodici” (v.35). È strano, è una casa, una casa palestinese, non è molto grande, perché Gesù deve chiamare? L’evangelista avrebbe dovuto scrivere: ‘Gesù disse …’, invece Gesù li deve chiamare. Perché? I Dodici lo seguono, ma non lo accompagnano, non gli sono vicini interiormente. Gli sono vicini fisicamente, ma la loro mentalità è lontana.
> “Gesù prese un bambino …” (v.36): come fa sempre quando vuole impartire un insegnamento importante. In perfetto stile orientale, Gesù tiene la sua lezione in tre momenti: 1) il primo momento si basa sull’insegnamento: “Se uno vuol essere il primo …”; 2) il secondo consiste in un’azione: “Prese un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo …”; 3) il terzo ci consegna una sentenza: “Chi accoglie uno di questi bambini …”. Il bersaglio da colpire è sempre uno: l’orgoglio, perché i Dodici, lungo la strada, avevano discusso tra loro su “chi fosse il più grande”. Il termine adoperato dall’evangelista (παιδίον) indica un individuo che, per età e per ruolo nella società è il meno importante di tutti. Al tempo di Gesù i bambini erano amati ma non avevano importanza, erano considerati impuri, perché non osservavano la Toràh. Presso gli ebrei, i bambini erano certo una benedizione di Dio per la famiglia, soprattutto i maschi; nel rito del matrimonio, sovente veniva schiacciata una melagrana perché apparissero i grani, a simboleggiare i numerosi figli augurati alla coppia. Possiamo dire che i figli erano considerati più per il loro numero che per la loro dignità singola. Questo Vangelo è sempre attuale. Dobbiamo prestare più attenzione ai nostri bambini, la cui infanzia è spesso negata. Un grande autore russo ha scritto che “la bellezza salverà il mondo”; parafrasando, possiamo dire che “i bambini salveranno il mondo”. Possiamo prendere la raccomandazione di papa Giovanni: “Tornando a casa, fate una carezza ai vostri bambini!”.
BUONA VITA