EVASIONE CULTURALE A KM0, RUBRICHE

CAPUA: ANNO 1878. UN INCENDIO NEL “CASTELLO” POTEVA AVERE TRAGICHE CONSEGUENZE.

RUBRICA: EVASIONE CULTURALE A CHILOMETRO ZERO E AD EURO UNO – Viviamo nella storia, nell’arte e nella bellezza: tutto è a portata di mano. Bisogna soltanto riscoprirlo perché tutto è già intorno a noi e fruibile a costo pressoché zero; il costo di un caffè

Sono passati circa 143 anni dal lontano 1878, anno in cui nel Castello di Carlo V, che si trova all’interno dell’attuale Pirotecnico, si sviluppò un pauroso incendio che, soltanto per fortuite circostanze, non ebbe tragiche conseguenze. Di quell’evento si interessò un giornalista de “Il Patto Costituzionale”, giornale politico letterario amministrativo, pubblicato in Caserta, che, in data 5 luglio di quell’anno, fece un dettagliato articolo sulle fiamme che si svilupparono all’interno dell’opificio nel quale, anche allora, si svolgevano lavorazioni analoghe, in linea di massima, a quelle attuali. 

Orbene, il cronista così annotava: “Mercoledì 3 luglio la città di Capua per l’incendio del Castello è stata agitata da uno que’ timori panici colossali, più terribili soventi volte d’una sventura”. 

Nella circostanza il cronista si lasciò andare a qualche critica, circostanziando che “Il Castello tenuto com’è, non offre le maggiori ragioni di sicurezza a’ Capuani”. Indicava anche le ragioni di quella censura: la presenza di materie accensibili contenute nello stabilimento, l’elevata probabilità di un incendio, l’indisponibilità, nei pressi, dei mezzi occorrenti per spegnere un eventuale incendio, la mancanza di pompe per spegnere le fiamme e, finanche, l’assenza di acqua in prossimità, salvo quella attingibile dal vicino fiume Volturno.

Il quadro delineato appariva catastrofico in quanto l’articolista chiosava aggiungendo che alle carenze di natura strutturale bisognava aggiungere quelle gestionali riconducibili alla imprevidenza ed alla noncuranza. Puntualizzava, altresì, che gli abitanti delle piazze-forti, sia in tempo di pace che di guerra, sono esposti agli inconvenienti derivanti dal loro tipo di lavorazione.

Quel giornalista fu lungimirante: difatti il 9 settembre 1943, nel corso della seconda guerra mondiale, il pirotecnico di Capua fu sottoposto ad un violento bombardamento proprio a causa della sua produzione bellica. A seguire fu bombardata anche la stazione, ove erano in sosta innumerevoli carri ferroviari carichi di cartucciame. A quel tempo i carri adibiti al trasporto delle lavorazioni provenienti dal Pirotecnico accedevano direttamente nell’opificio e ne è rimasta qualche traccia (di binario) nei pressi dell’incrocio adducente alla stazione ferroviaria. In quella occasione fu bombardato anche il ponte romano, il duomo e numerosi palazzi del centro storico. E, purtroppo, si contarono oltre un migliaio di vittime tra i civili.

Torniamo all’incendio sviluppatosi all’interno del castello, cioè dello stabilimento militare: esso, secondo quanto riportato nel servizio giornalistico del 5 luglio 1878, “si manifestò in un lungo corridoio a pianterreno, colmo di bottacci ripieni di spirito, acido nitrico, acido solforico, materie tutte incendiarie”, con la concreta possibilità di un pericolo gravissimo, poiché vicinissimo alle fiamme si trovava accatastato un grosso deposito di legname.  

Anche in quel tempo, nelle immediatezze, le autorità preposte preferirono non pronunciarsi sulle possibili cause dell’incendio del bottaccio, evidentemente pieno di polvere esplosiva, preannunciando, al riguardo, un’apposita inchiesta. Purtuttavia il cronista azzardò l’ipotesi che “qualche bottaccio di ritorno dall’ufficio di lavorazione ha potuto portare con sé qualche briciola di fulminato di mercurio, che ha potuto cagionare l’incendio”. A seguito dell’incendio, per scansare il pericolo incombente, gli abitanti di Capua si dispersero per la campagna circostante. 

Il giornalista si lasciò andare anche a qualche divertita annotazione per commentare l’eccitazione a cui vanno incontro i meridionali e, quindi, anche i capuani, quando sono incalzati da un pericolo: ”il timor panico non ragiona ed i Capuani n’erano presi sino alla radice de’ capelli, e molti corsero fino a Santamaria, altre famiglie non si fermarono che costà, a Caserta!”.

Nel frangente, si evidenziò, per la solerzia delle misure adottate, il colonnello Palmeri, capo dello stabilimento, che riuscì ad isolare il magazzino delle polveri, contenente, tra l’altro, anche la dinamite. Molta solidarietà pervenne dalle viciniori cittadine di Santa Maria C.V. e di Caserta che, nel giro di un’ora, fecero giungere in soccorso di Capua le loro pompe idrauliche.

Nell’articolo di stampa non si mancò di sottolineare come, nella circostanza, l’opificio in questione mancasse di tutto l’occorrente per le operazioni di spegnimento e come tali carenze avessero allarmato non poco la popolazione capuana.

Nel 1878, nel complesso dell’Annunziata erano ospitate moltissime fanciulle che rimasero spaventate ed atterrite dall’incendio che divampava nel vicino stabilimento militare; il direttore dell’istituto –cav. Umbriani- per rasserenare le ospiti dell’istituto preferì dimorare in loco fino a quando le fiamme non furono completamente domate. 

Il giornalista annotò con orgoglio che “all’ospedale (l’ospedale Palasciano) furono prese tutte le misure ed apprestato l’occorrente in caso di feriti con quell’accuratezza permessa dall’urgenza del caso”.  

Ho inteso rievocare una vicenda capuana per un duplice ordine di motivi: innanzitutto per rievocare un evento che, allorché ebbe luogo, provocò molto clamore per il pericolo scampato ed in secondo luogo per sottolineare come, a quel tempo, a fronte di un pericolo incombente, si poteva orgogliosamente contare sulla presenza di un ospedale storico, di antica fondazione e di illustre tradizione ed efficienza, avendovi militato l’insigne dottore Ferdinando Palasciano, a cui è intitolato, precursore della Croce Rossa. Oggi, a Capua, sono attive da tempo alcune industrie chimiche a ridosso della città, anzi nella città, e non disponiamo di alcun presidio sanitario assimilabile al concetto di ospedale; insomma alla dignità di quel nosocomio che tanto lustro diede alla nostra città. 

Non voglio aggiungere altro. Ricordo soltanto quanto scrissi qualche decina di giorni fa su questo medesimo giornale on line, a proposito della segnaletica stradale che tuttora erroneamente segnala, in Capua, la presenza del pronto soccorso ospedaliero: voglio ritenere la sussistente segnaletica un segnale beneaugurante per il ripristino -verosimilmente improbabile- del vecchio presidio ospedaliero.   

Negli ultimi cinquanta anni –per non fare torto a nessuno- le locali strategie politiche, ma anche quelle sovraordinate, con le correlate convenienze dei pochi, ci hanno, purtroppo, portato in una direzione opposta a quella postulata dalla ragione, ovvero quella della cura dell’interesse pubblico territoriale. Circa un secolo e mezzo fa (per la precisione 143 anni fa) eravamo, quindi, più attrezzati di adesso per fronteggiare le emergenze.

 Chiudo questa breve rievocazione su di una disgrazia della quale non si conserva neanche più la memoria con le parole impiegate dal cronista (che non si firmò) del 5 luglio 1878, che mi sembrano quanto mai attuali: “Ognuno fece il suo meglio: ma ad evitar nuovi sconci, tanto le autorità civili quanto militari dovrebbero adottare le precauzioni necessarie per le condizioni locali, od almeno aver a portata di mano il rimedio al male, quando non si è più in grado di scongiurarlo!”.

CONDIVIDI

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*